giovedì 27 settembre 2007

Sosteniamo la protesta nel Myanmar (ex Birmania)

Ogni dittatura non accetta l'idea di libertà. Quando il popolo comincia a chiederla anche pacificamente, una repressione violenta è dietro l'angolo.
Così sta avvenendo questi giorni nell'ex Birmania dove un regime dittatoriale sta sopprimendo e uccidendo i monaci del posto che hanno organizzato una protesta da giorni, con un consenso altissimo della popolazione.
Dopo un periodo di attesa, ora i militari del regime sono passati all'azione e da ore ci sono agenzie che annunciano morti tra i monaci buddisti e centinaia di arresti tra i manifestanti.
Questa situazione non deve andare avanti e i governi del mondo devono fare di tutto per porre fine ad una simile situazione.
Per il momento all'ONU non si riesce a trovare un accordo a colpa dei veti di Cina e Russia che come sempre si mostrano insensibili. La Cina ha interessi economici con questo Stato mentre Putin liquida il tutto con la frase: "affari interni".

Nel nostro piccolo dobbiamo fare qualcosa in modo tale da lanciare un segnale forte alla comunità internazionale.
Una piccola cosa che possiamo fare ad esempio è quella di indossare domani, venerdì 28 settembre, una maglietta o un nastro rosso in sostegno al popolo dell'ex Birmania.
Questa è una richiesta che sta facendo il giro del mondo sia in internet che via sms.
Ecco il testo dell'invito in italiano:

"Venerdì 28 settembre indossiamo una maglia rossa. Chiunque legga questo messaggio lo trasmetta a quante più persone sensibili a questo gravissimo problema gli sarà possibile. GRAZIE DI CUORE"

In inglese invece è il seguente:

"In support of our incredibly brave friends in Burma: may all people around the world wear a red shirt on Friday, September 28. Please forward!"

Altre iniziative stanno partendo. Già oggi è stata organizzata una manifestazione in piazza del Campidoglio a Roma alle 18.30 dove hanno aderito quasi tutte le forze politiche. Sullo scalone del Palazzo senatorio è stata esposta una gigantografia di Aung San Suu Kyi, il nobel per la pace rinchiusa agli arresti domiciliari dal 1989 che vinse le uniche elezioni che si sono avute nel 1990, poi soppresse nuovamente dalla giunta militare. Ora forseAung San Suu Kyi è stata trasferita in un carcere duro ma questo ovviamente non è dato sapere.

Domani, venerdì 28, la sezione italiana di Amnesty International sta organizzando un sit in di protesta di fronte all'Ambasciata di Myanmar in via della Camilluccia 551 a Roma a partire dalla 17.30. Un altro sit in è stato già fissato per sabato 29 settembre a Milano, precisamente a piazza della Scala dalle 16.30.

Inoltre Amnesty International Italia ha lanciato un appello per fermare la repressione, chiedendo di firmarlo cliccando qui.
Il testo dell'appello è il seguente:

"La sera del 25 settembre circa 300 persone sono state arrestate durante le proteste contro la giunta militare del Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo (Spdc), nell’ex capitale Yangon, nella seconda città più grande, Mandalay, così come a Meiktila, a Pakokku e a Mogok. Amnesty International ha appreso che diverse persone sono entrate in clandestinità per evitare l’arresto.

Alcuni arresti erano già avvenuti la sera del 24 settembre, ma la maggior parte ha avuto luogo nelle successive 36 ore, con l’intensificarsi del giro di vite da parte delle forze di sicurezza. Tra le persone arrestate vi sono tra i 50 e i 100 monaci di Yangon, il parlamentare Paik Ko e almeno un altro esponente del principale partito d’opposizione, la Lega nazionale per la democrazia (Nld) guidata da Aung San Suu Kyi, diversi altri membri dell’Nld e altre figure pubbliche, tra cui il famoso attore e prigioniero di coscienza Zargana (conosciuto anche come Ko Thura). Amnesty International crede che questi e altri detenuti si trovino a rischio di tortura o altri maltrattamenti.

Fonti governative hanno confermato ai giornalisti che almeno tre monaci sono stati uccisi a Yangon: uno da un colpo d’arma da fuoco e gli altri due a seguito di un pestaggio. Fonti non ufficiali hanno fatto sapere ad Amnesty International che oltre 50 monaci sono rimasti feriti.

Nonostante l’alta tensione, migliaia di persone continuano a manifestare nelle strade contro il governo, guidate dai monaci, i quali hanno però voluto proteggere la popolazione chiedendo di non prendere parte alle dimostrazioni.

Sembra che le forze di sicurezza abbiano percosso i manifestanti con manganelli, utilizzato gas lacrimogeni per disperdere la folla che sfidava il recente divieto di raduno di più di 5 persone e sparato colpi di avvertimento in aria.

Le proteste pacifiche hanno avuto inizio ad agosto, in risposta al brusco aumento del prezzo dei carburanti. I monaci buddisti, che hanno preso la guida delle proteste dopo che alcuni di loro erano stati feriti nella città di Pakokku, chiedono la riduzione del prezzo dei generi di prima necessità, il rilascio dei prigionieri politici e un processo di riconciliazione nazionale per risolvere le profonde divisioni politiche interne.

La mattina del 25 settembre, le autorità hanno iniziato il giro di vite sui manifestanti, introducendo un coprifuoco di 60 giorni dalle 21 della sera alle 5 del mattino e avvisando la popolazione che sarebbero stati adottati provvedimenti di legge contro i dimostranti.

Le violazioni dei diritti umani a Myanmar sono diffuse e sistematiche. Tra queste vi è l’utilizzo di bambini soldato e il ricorso ai lavori forzati. Inoltre, sono in vigore leggi che criminalizzano l’espressione pacifica del dissenso politico.

Alla fine del 2006, la maggior parte degli esponenti di primo piano dell’opposizione era agli arresti o sottoposta a forme di detenzione amministrativa e 1160 prigionieri politici erano detenuti in condizioni via via più dure. Gli arresti avvengono spesso senza mandato e i detenuti sono costretti a trascorrere lunghi periodi d’isolamento; la tortura è praticata regolarmente nel corso degli interrogatori; i processi nei confronti degli oppositori politici seguono procedure non in linea col diritto internazionale e agli imputati viene frequentemente negato il diritto a scegliere un avvocato, se non addirittura ad averne uno. La pubblica accusa fa ricorso a confessioni estorte con la tortura.

Per approfondimenti sulla situazione dei prigionieri politici in Myanmar: “Myanmar’s Political Prisoners: A Growing Legacy of Injustice” http://web.amnesty.org/library/Index/ENGASA160192005

Partecipa alla nostra azione, firma l'appello:

- Firma on line questo appello"

Firmatelo numerosi!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Al decimo giorno di marce non violente, la situazione in Birmania (o Myanmar, come la chiamano le forze militari) si fa drammatica. Tutto questo il giorno dopo che il Consiglio di sicurezza dell’ONU non ha trovato un accordo sulle sanzioni da infliggere al Myanmar. Durante le consultazioni a porte chiuse del Consiglio, Russia, Cina e Indonesia si sono opposte alla proposta avanzata da Unione europea e Stati Uniti di discutere misure contro il regime militare birmano.
Credo che questa situazione non faccia altro che sottolineare quelli che sono gli equlibri politici, economici e di forza che vigono tra gli stati più potenti del Mondo. Gli Americani, ad esempio, sempre pronti ad esportare la loro democrazia con ogni mezzo, questa volta sembrano sì interessati, ma alla lontana. Questo perchè il confine tra interesse economico e ideologia diventa sempre più labile. Per Bush, l’America è il faro della democrazia nel mondo (lo dice quasi ad ogni suo discorso), ma forse è un faro che illumina di più le zone dove è lui ad avere interessi economici (petrolio) e non i suoi avversari ideologici (Cina e Russia con le materie prime birmane). Gli USA, quindi, hanno cercato di far sentire al propria voce all’ONU, non ci sono riusciti e anche a loro va bene così.

L’ONU, poi, secondo me, si è rivelata ancora una volta per quello che è: un’organizzazione che finge di essere “super partes“, ma che si trova spesso nell’impossibilità di agire per via di limiti strutturali che la costingono a sottostare ai soliti giochi di potere internazionali, perciò quando si verificano situazioni come questa si trova con le mani legate venendosi a trovare così involontariamente schierata.

La Cina continua a rivelarsi illiberale e dimostra di portare avanti una politica di spartizione del territorio ormai superata, insime alla Russia di Putin, il quale sembra avere nostaglia della “Guerra fredda”. Insomma, in mezzo al caos internazionale dei giochi di forza ci si sono trovati i poveri monaci buddisti (che protestano pacificamente) e la popolazione del Myanmar, costretta a subire repressioni da parte di un regime che non vogliono e di cui non riescono a liberarsi che, oltre a privare il popolo della libertà, lo costringe a vivere in condizioni di miseria...

L’esempio dei monaci buddisti è da seguire: la democrazia esce dai monasteri che sono da sempre espressione di moralità, tradizione, cultura. Spero che il popolo birmano si liberi dal regime in modo non violento con l’ausilio della sola forza di risorse apparentemente intangibili come moralità, cultura, conoscenza, informazione libera, ma che però sono i veri pilastri di un sistema democratico. I monaci, con la loro protesta pacifica, sono convinti che la democrazia potrà essere ristabilita senza spargimento di sangue e sperano che la comunità internazonale si interessi finalmente al loro Paese. Mi auspico che i monaci abbiano ragione e che si possa concludere tutto pacificamente. Spero anche che non cali l’attenzione mediatica (la Rete li sta aiutando) perché a telecamere spente si possono compiere indisturbati crimini orribili.
Sosteniamoli: domani tutti in rosso o arancio!!! ;-)

salpetti.wordpress.com

Anonimo ha detto...

Ho firmato subito, grazie mille Giovi!