mercoledì 5 settembre 2007

Revisionismo fascista

Fascisti e antifascisti non sono la stessa cosa. Eppure ultimamente si fanno discussioni "salottiere" che portano ad equipararli sostenendo che entrambi erano violenti e hanno prodotto morti anche tra civili. Chi dice simili sciocchezze soprattutto se politici, si deve ricordare che ad esempio la libertà di parola è frutto dei partigiani, molti dei quali hanno dato la vita per riportare la democrazia in Italia. Dovrebbero ringraziarli se a distanza di tanto tempo hanno la libertà di "aprire bocca e dargli fiato" in ogni sorta di media.

A pensarla allo stesso modo è il Vaticano che esattamente un mese fa sulle colonne dell' "Osservatore romano" scrisse: "Basta equiparare la Resistenza e il fascismo".

L’intervento del quotidiano della Santa Sede era avvenuto in seguito ad un atto vandalico ai danni della lapide di Porta San Paolo, in ricordo della Resistenza romana.

Si è fatto notare che atti del genere sono inevitabili «quando si mette sullo stesso piano chi ha combattuto per la libertà e chi era dall’altra parte», contro chi ha cercato «di salvare Roma dall’occupazione nazifascista, a quanti si battevano per la libertà».


A destra invece sembra normale attaccare la Resistenza. Il segno più tangibile di questo revisionismo è stato dato dall’ex premier Silvio Berlusconi che non ha avuto mai la decenza, almeno istituzionale, di partecipare alle celebrazioni del 25 aprile.

Ma il vizietto la destra ce l’ha avuto sempre, solo che prima non era sfoggiato così pubblicamente. Da quando è caduto il muro di Berlino ed è stato sdoganato l'MSI da Gianfranco Fini con la creazione di Alleanza Nazionale, che ottenne subito l’appoggio di Silvio Berlusconi quando entrò in politica, insultare i partigiani è diventato politically correct.


Notizia di questa estate, è che la Cassazione ha condannato in via definitiva "Il Giornale" per gli articoli contro il partigiano Rosario Bentivegna a capo di tredici partigiani che organizzarono l'attentato di via Rasella il 23 marzo 1944 a Roma contro il battaglione tedesco "Ss Bozen". Si sa come andò: in quell’attentato morirono 33 Ss e per vendetta gli occupanti uccisero 335 civili nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine.

Per la Cassazione, confermando la sentenza della Corte di Appello a Milano del 2003, l’attentato partigiano fu un «legittimo atto di guerra, rivolto contro un esercito straniero occupante, e diretto a colpire unicamente dei militari». Falsa era anche la tesi del quotidiano di Berlusconi, secondo la quale le Ss erano «vecchi militari disarmati». In realtà «si trattava di soggetti pienamente atti alle armi, tra i 26 e i 43 anni, dotati di sei bombe e pistole». Smentito inoltre la presenza di italiani nel battaglione “Ss Bozen”: «Facendo parte dell’esercito tedesco, i suoi componenti erano sicuramente altoatesini che avevano optato per la cittadinanza germanica». Priva di fondamento anche la tesi secondo la quale «erano stati affissi manifesti che invitavano gli attentatori a consegnarsi per evitare rappresaglie». Per la Cassazione, ciò trova «puntuale smentita nella circostanza che la rappresaglia delle Fosse Ardeatine (335 morti) era cominciata circa 21 ore dopo l’attentato e, soprattutto, nella direttiva del Minculpop la quale disponeva che si sottacesse la notizia di via Rasella, che venne effettivamente data a rappresaglia già avvenuta».

Per questo è «lesiva dell’onorabilità politica e personale» del partigiano Rosario Bentivegna «la non rispondenza a verità di circostanze non marginali come l’ulteriore parificazione tra partigiani e nazisti con riferimento all’attentato di via Rasella e l’assimilazione tra Erich Priebke e Bentivegna».


Dopo tutte queste infamie, “Il Giornale” dovrà risarcire per diffamazione Rosario Bentivegna, sborsando 45 mila euro. Di sicuro, con tutti i soldi che ha Berlusconi, articoli così squallidi potrebbero essere scritti anche in futuro…

Nell’affrontare il tema della Resistenza, molti si chiedono se siano stati necessari gli attacchi partigiani che hanno provocato per ritorsione dei morti civili.

A questa domanda non trovo migliore risposta che riportare quella data da Massimo L. Salvadori, docente di Storia delle Dottrine politiche all’università di Torino e studioso del Novecento:


«Resistere pone dei drammatici interrogativi. La rappresaglia è un pericolo grave. Ma rinunciare ad agire contro gli occupanti per paura delle ripercussioni sui civili, vorrebbe dire togliere il fondamento stesso della resistenza. Il problema si pone da sempre, si presenta anche nel mondo antico, pensi alle rappresaglie dei romani contro gli zeloti. Quando c’è una resistenza contro gli occupanti, la spirale attentati/rappresaglia è una spirale oggettiva che appartiene alla dinamica della situazione storica»

(tratto dall’intervista pubblicata su “laRepubblica” dell’8 agosto 2007)

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