giovedì 2 luglio 2009

Il giudice Mazzella e la cena tra amici

(LUIGI MAZZELLA, fonte: www.repubblica.it)


Continuano le polemiche sulla cena che si è avuta a casa del giudice della Corte Costituzionale Luigi Mazzella.
Gli invitati a casa Mazzella erano il suo collega Paolo Maria Napolitano, il Premier Silvio Berlusconi, il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il Ministro della Giustizia Angelino Alfano e il Presidente della Commissione Affari Costituzionali Carlo Vizzini.
La polemica nasce dal fatto che questi due giudici, essendo componenti della Corte Costituzionale, dovranno stabilire il 6 ottobre la costituzionalità o meno del "Lodo Alfano".
E' evidente come questo sia di vitale importanza per Alfano, ma soprattutto per Silvio Berlusconi, l'unico che ha usufruito dell'immunità stabilita grazie al Lodo alle quattro più alte cariche dello Stato: Il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Presidente della Camera e quello del Senato.

Questa cena mina l'indipendenza della Corte e i due giudici, a detta in particolare del leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, si dovrebbero dimettere o quantomeno astenersi alla votazione del 6 ottobre. Solo chi vede in Berlusconi l' "unto del Signore" non può accorgersi della gravità del caso.

Per giustificarsi Mazzella si è prodigato a scrivere a Berlusconi una lettera pubblica evocando addirittura la polizia fascista. Per lui è legittimo far venire a cena un "amico di vecchia data", cosa che sarebbe certamente normale senza considerare il ruolo istituzionale ricoperto dal giudice.

«Caro Presidente, caro Silvio,
ti scrivo una lettera aperta perchè cominciando seriamente a dubitare del fatto che le pratiche dell'Ovra (la polizia segreta fascista, ndr) siano definitivamente cessate con la caduta del fascismo, non voglio cadere nel tranello di essere accusato, da parte di chi necessariamente ne ignorerà il contenuto, di averti inviato una missiva "carbonara e piduista", secondo il colorito linguaggio di un parlamentare. Ritenevo in buona fede di essere un uomo libero in un Paese ancora libero e di avere il diritto '"umano" di invitare a casa mia un amico di vecchia data quale tu sei.

Ho sempre intrattenuto con te rapporti di grande civiltà e di reciproca e rispettosa stima. Vederti in compagnia di persone a me altrettanto care e conversare tutti assieme in tranquilla amicizia non mi era sembrato un misfatto. A casa mia, come tu sai per vecchia consuetudine, la cena è sempre curata da una domestica fidata (e basta!). Non vi sono cioè possibili '"spioni", come li avrebbe definiti Totò. Chi abbia potuto raccontare un fantasioso contenuto delle nostre conversazioni a tavola inventandosi tutto di sana pianta resta un mistero che i grandi inquisitori del nostro Paese dovrebbero approfondire prima di lanciare accuse e anatemi. La libertà di cronaca è una cosa, la licenza di raccontare frottole ad ignari lettori è ben altra! Soprattutto quando il fine non è proprio nobile.

Caro Silvio, a parte il fatto che non era quella la prima volta che venivi a casa mia e che non sarà certo l'ultima fino al momento in cui un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali, mi sembra doveroso dirti per correttezza che la prassi delle cene con persone di riguardo in casa di persone perbene non è stata certo inaugurata da me ma ha lunga data nella storia civile del nostro Paese. Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco chilometrico.

Caro presidente, l'amore per la libertà e la fiducia nella intelligenza e nella grande civiltà degli italiani che entrambi nutriamo ci consente di guardare alla barbarie di cui siamo fatti oggetto in questi giorni con sereno distacco. L'Italia continuerà ad essere, ne sono sicuro, il Paese civile in cui una persona perbene potrà invitare alla sua tavola un amico stimato. Con questa fiducia, un caro saluto».

Come direbbe il celebre conduttore Antonio Lubrano, "la domanda mi sorge spontanea".
Un amico di vecchia data sarebbe capace, qualora lo fosse, di giudicare incostituzionale una legge che ha impedito all'amico Berlusconi di essere condannato per corruzione nel processo a David Mills?

Se anche voi vi siete posti la stessa domanda, allora chiedete le dimissioni dei due giudici inviando la richiesta al Presidente della Corte Costituzionale Francesco Amirante, CLICCANDO QUI

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