giovedì 2 agosto 2007

Le donne e la Chiesa

Ho sempre pensato che le donne fossero emarginate all'interno della Chiesa Cattolica. Sono sempre state di secondo piano e non hanno mai ricoperto ruoli essenziali.
Le suore non possono celebrare messa o confessare e questo mi risulta un po' inspiegabile.
E' vero che Gesù era uomo e ha affidato la divulgazione del Verbo agli apostoli.
E' vero anche però che le donne hanno avuto una certa importanza nella Bibbia, specie nel Nuovo Testamento.
Dalle donne nasce la vita e da una donna è nato il Figlio di Dio, cioè Gesù.
Bellissime le figure della Vergine Maria e della Maddalena, entrambe al fianco di Gesù nel momento di maggior sofferenza, cioè durante la crocifissione.
E allora, perché non valorizzarle di più?

Qualcosa pare stia cambiando e ci sono dei segnali incoraggianti provenienti dal Segretario di Stato vaticano Cardinale Tarcisio Bertone.
Ecco una parte dell'intervista contenuta nell'articolo " "Ci saranno presto donne ai vertici del Vaticano" " pubblicato su "
laRepubblica" del 19 luglio 2007:

"Ci saranno presto donne ai posti di comando in Vaticano. Parola del cardinale Bertone, Segretario di Stato, che elogia la sua segretaria straordinaria e assicura ai giornalisti: le nuove nomine che il pontefice sta studiando prevedono incarichi di responsabilità a guida femminile. Così si romperà una tradizione secolare di emarginazione delle donne nella Chiesa[...]
Il teologo Hans Kueng ha detto che Benedetto XVI è un conservatore capace di riservare grandi sorprese. Ci sarà più visibilità per le donne nella Chiesa, magari cominciando da qualche incarico importante in Vaticano?
«Io penso di sì. Certamente. Stiamo disegnando le nuove nomine in Vaticano, tutti lo sanno, e nel quadro delle responsabilità, dei carismi, delle potenzialità delle donne ci sono incarichi che assumeranno. Sono sicuro che renderanno grandi servigi al Papa, alla Chiesa di Roma e alla Chiesa universale. Io, d'altra parte, ho un segretario polacco, un consigliere diplomatico francese e una segretaria italiana che è straordinaria. Una collaboratrice indispensabile. Infatti l'avevo alla Congregazione per la dottrina della Fede, l'ho strappata da lì e l'ho portata con me in Segreteria di Stato»
[...]"


Vedremo se sarà vero, ma di sicuro sembra strano che a volerlo sia un Papa conservatore come Benedetto XVI che con il motu proprio "Summorum Pontificum" ha “liberalizzato” la messa in latino sminuendo l'importanza del rito introdotto nel Concilio Vaticano II ...
Aumentano comunque i cardinali e i vescovi che "storcono il naso" al solo pensiero di ricelebrare messa con l'antico rito.
L'ultimo in ordine di tempo è il celebre cardinale emerito di Milano
Carlo Maria Martini.
Ecco la notizia riportata da Luca Saitta all'interno dell’articolo " Martini: "Non celebrerò la messa in latino" " pubblicato su "
laRepubblica" del 30 luglio 2007:

"Per lui, ormai, la messa in latino ha più che altro il sapore evocativo della memoria, degli anni della giovinezza e dei suoi primi studi da sacerdote. Ma ritornare a celebrarla adesso, questo no. Il cardinale emerito di Milano, Carlo Maria Martini, sceglie di voltare definitamene le spalle all’antico rito, liberalizzato da papa Benedetto XVI nel motu proprio "Summarum Pontificum" che entrerà in vigore il prossimo 14 settembre.
Il cardinale, in un suo intervento sul supplemento domenicale de "Il Sole 24 Ore", non critica apertamente la scelta di Ratzinger, del quale «ammira la volontà ecumenica a venire incontro a tutti». Ma la presa di distanza dal pontefice – che ha ripristinato la modalità di celebrazione precedente la riforma del Concilio Vaticano II del 1970 – è palpabile. «L'antico rito è stato quello della mia prima comunione, delle incipienti esperienze di chierichetto, della mia ordinazione sacerdotale» ricorda Martini, quasi con nostalgia. Ma sono tre i motivi per i quali il cardinale, alla fine, dice di no alla liturgia pure da lui praticata nel corso di 35 anni di vita.
Per prima cosa, il ritorno ai vecchi riti rappresenterebbe per Martini l'allontanamento da quell'apertura sociale voluta 37 anni fa da Paolo VI che, per tanti fedeli, «ha costituito una fonte di ringiovanimento interiore e di nutrimento spirituale», nonché «un bel passo avanti per la comprensione della liturgia e della sua capacità di nutrirci della Parola di Dio, offerte in misura molto più abbondante rispetto a prima».
Ancora, Martini non nega il timore del ritorno di un sapore un po' asfittico nell'esperienza della fede: «Non posso non risentire quel senso di chiuso che emanava dall’insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora si viveva, dove il fedele con fatica trovava quel respiro di libertà e di responsabilità da vivere in prima persona di cui parla san Paolo». Infine, il cardinale si sente chiamato in causa anche come pastore che ha compreso «l’importanza di una comunione anche nelle forme di preghiera liturgica che esprimeva in un solo linguaggio l’adesione di tutti al mistero altissimo».
"

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