A volte le notizie che si leggono sono veramente paradossali. L'avvocato Gaetano Pecorella di FI (ora PDL) ha denunciato per violazione della privacy due ragazzi che gli avevano posto una domanda filmando il tutto con una videocamera digitale.
Pecorella non trova nulla di strano dal punto di vista morale difendere uno che poi è stato appurato essere un camorrista mentre nel 2003 ricopriva due ruoli importantissimi: Presidente della Commissione giustizia alla Camera e avvocato del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
E' bene dirlo che anche un presunto camorrista deve poter avere un avvocato che lo assista durante l'iter giudiziario. Ma questo non è il punto principale del discorso.
Due ragazzi, Dario Parazzoli e Alessandro Didoni, sensibili e impegnati sui temi che riguardano le stragi di mafia, hanno partecipato il 20 luglio 2009 alla trasmissione "Iceberg" su Telelombardia. Nella trasmissione condotta da Parenzo, il tema è proprio la mafia e i legami tra mafia e Stato. Gli ospiti erano: Nando Dalla Chiesa, il figlio di Ciancimino che nelle ultime settimane sta parlando di questa trattativa tra Stato e mafia dietro l'uccisione di Paolo Borsellino, Nuzzi che è l'autore del libro "Vaticano Spa" e l'onorevole Gaetano Pecorella.
Durante la diretta Dario chede a Pecorella se non prova imbarazzo del fatto che Marcello Dell'Utri, fondatore dell'ex suo partito Forza Italia oggi confluito nel PDL, sia stato condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Pecorella risponde dicendo che Dell'Utri è stato eletto regolarmente dai cittadini e quindi il problema non si pone.
Successivamente, durante la pausa pubblicitaria, Alessandro Didoni chiede all'onorevole come mai nel 2003 aveva deciso di difendere Nunzio De Falco, il boss dei Casalesi poi condannato all'ergastolo per l'omicidio di Don Peppino Diana, il prete anticamorra di cui parla anche Roberto Saviano.
Come se Didoni avesse detto un'eresia, subito interviene il conduttore dicendo: "ma perché? Nunzio De Falco non ha diritto di essere difeso?". Poi è la volta di Pecorella che insinua il fatto che, se avesse letto la sentenza, avrebbe riscontrato che Don Peppino Diana teneva in casa le armi della mafia. Dopo una simile risposta Nando Dalla Chiesa interrompe subito Pecorella dicendogli: "Difendi pure dell'Utri ma non infangare i morti ammazzati dalla camorra".
Basta solo questo per descrivere la situazione come incredibile. Pecorella invece di tacere o dare una risposta pacata e chiara riesce ad offendere la figura di un prete che per combattere la camorra ha pagato con la vita. Tutto ciò fa orrore perché mostra un uomo delle istituzioni che non prova un minimo di pietas e di rispetto per un semplice prete che con coraggio ha saputo affrontare il suo destino per difendere una causa giusta.
Proprio oggi in un articolo uscito su "laRepubblica", che poi vi riproporrò alla fine di questo post, Roberto Saviano ha scritto chiaramente che non c'è alcun dubbio che Don Peppino sia un prete ucciso per aver combattuto la camorra. Pure la Corte di Cassazione nella sentenza del 4 marzo 2004 ha confermato questo fatto. Non solo, ma basterebbe considerare il documento scritto da Don Peppino e altri preti di Casal di Principe intitolato "Per amore del mio popolo non tacerò" dove vi è una critica dura contro la camorra.
Ma la vicenda non finisce qui perché all'uscita dalla trasmissione i ragazzi volevano rifare la domanda a Pecorella per poterla filmare. Pecorella non ha risposto e i ragazzi sono stati cacciati. Il video della scena, visto che era completamente inutile e insignificante, era rimasto nella videocamera digitale e non era stato caricato su internet.
Ma Pecorella ha deciso di querelarli per violazione della privacy e ora potrebbero passare anche dei guai giudiziari sebbene, a mio parere, non avrebbero fatto niente di male.
Ecco il resoconto di questa vicenda attraverso un'intervista ad Alessandro Didoni caricata su YouTube e pubblicata sul sito di Beppe Grillo:
Mi sembra ovvio che in uno Stato democratico simili cose non dovrebbero succedere. Comincio a pensare che la democrazia sia una chimera.
Ecco l'articolo di Roberto Saviano intitolato "Onorevole Pecorella perché infanga Don Peppe Diana?" di cui vi parlavo (sottolineature personali):
"Mi è capitato nella vita di fare pochissimi giuramenti a me stesso. Uno di questi, che non riuscirei a tradire se non vergognandomi profondamente, è difendere la memoria di chi nella mia terra è morto per combattere i clan. Ho giurato a me stesso sulla tomba di Don Peppe Diana il giorno in cui alcuni cronisti locali, alcuni politici e diversa parte di quella che qualcuno chiama opinione pubblica iniziarono un lento e subdolo tentativo di delegittimarlo.
Il venticello classico di certe parti d'Italia che calunnia ogni cosa che la smaschera; il tentativo di salvare se stessi dalla scottante domanda "perché io non ho mai detto o fatto niente?". Ho letto in questi giorni sulla rivista Antimafia Duemila che due ragazzi, Dario Parazzoli e Alessandro Didoni, hanno chiesto durante una trasmissione Tv a Gaetano Pecorella come mai, quando era presidente della commissione giustizia, difendeva al contempo il boss casalese egemone in Spagna Nunzio De Falco, poi condannato come mandante dell'omicidio di Don Peppe Diana. Mi ha colpito e ferito sentire alcune dichiarazioni dell'Onorevole Pecorella in merito all'assassinio di Don Peppe Diana. In una intervista al giornalista Nello Trocchia per il sito Articolo21, Pecorella dichiara: "Io dico che tra i moventi indicati, agli atti del processo, ce ne sono tra i più diversi. Nel processo qualcuno ha parlato di una vendetta per gelosia, altri hanno riferito che sarebbe stato ucciso perché si volevano deviare le indagini che erano in corso su un altro gruppo criminale. E altri hanno riferito anche il fatto che conservasse le armi del clan. Nessuno ha mai detto perché è avvenuto questo omicidio, visto che non c'erano precedenti per ricostruire i fatti. Se uno conosce le carte del processo, conosce che ci sono indicate da diverse fonti, diversi moventi". Proprio leggendo le carte si evince chiaramente che non è così, Onorevole Pecorella. Perché dice questo? E' vero esattamente il contrario. Dalle carte del processo emerge invece che è tutto chiaro. E pure la sentenza della Corte di Cassazione del 4 marzo 2004 conferma che Don Peppe è stato ucciso per il suo impegno antimafia e per nessun'altra ragione. Che De Falco (di cui lei, Onorevole, ha assunto la difesa) ha ordinato l'uccisione di Don Peppe per dimostrare, uccidendo un nemico in tonaca, un nemico senza armi, che il suo gruppo era più forte e coraggioso di quello di Sandokan. E anche per deviare la pressione dello Stato proprio sul clan Schiavone. Quelli che lei definisce più volte "moventi indicati" furono, come dimostrano le sentenza, delle calunnie che alcuni camorristi portarono per lungo tempo in sede processuale per discolparsi. Calunnie nate dal fatto che persino loro cercavano di lavarsi le mani, in buona o cattiva fede, del sangue innocente che avevano versato. Ne avevano vergogna. Questo è quello che dicono gli iter conclusi della giustizia italiana. Ed è per questo che la risposta che l'Onorevole Pecorella ha dato appena qualche giorno fa alla domanda se Don Diana, a suo avviso, non fosse stato ucciso per il suo impegno contro i clan lascia basiti. L'onorevole dice: "Io non ho avvisi. Io riporto quello che è emerso nel processo e nulla più. Ci sono diversi moventi, c'è anche quello che all'inizio non era emerso, che faceva attività anticamorra. Per la verità nel processo non è venuto fuori molto chiaro neanche questo come movente. E' inutile che costruiamo delle fantasie sulle ipotesi. Quello dell'impegno anticamorra è tra le ipotesi. Ma nel processo non è emerso in modo clamoroso, non è mai venuta fuori un'attività di trascinamento, di gente in piazza. Non è che c'erano state manifestazioni pubbliche, documenti. Qualcuno ha detto anche questa ragione. Come vede ci sono tanti moventi. Certamente è stato ucciso dalla camorra. Chi viene ucciso dalla camorra è una vittima della camorra. Ora se è un martire bisogna capirlo dal movente che non è stato chiarito". E' stato chiarito. Lo Stato Italiano considera Don Peppe un martire della battaglia antimafia, migliaia di persone hanno sfilato in sua difesa. E i documenti che non ci sarebbero, ci sono eccome. Hanno non solo un nome, ma anche un titolo: "Per amore del mio popolo non tacerò". E' il documento stilato da Don Peppe insieme ad altri preti della forania di Casal di Principe in cui viene annunciata una battaglia pacifica, ma priva di compromessi alle logiche dei clan, al loro predominio, alla loro mentalità, alla loro cultura, alla loro falsa aderenza alla fade cristiana. Persino Papa Giovanni Paolo II, dopo la morte di Don Peppino Diana, pronunciò nell'Angelus: "Voglia il signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro [...] produca frutti [...] di solidarietà e di pace". Per Giovanni Paolo non ci furono dubbi, fu un martire. Per Lei, Onorevole Pecorella, invece ce ne sono. Perché, mi chiedo? Le chiedo inoltre se considera legittimo rivestire il ruolo di Presidente della Commissione Giustizia del Parlamento Italiano e portare avanti la difesa del boss Nunzio De Falco? Lei immagino mi risponderà di sì, che anche il peggiore die presunti criminali, ne ha il diritto. Ma questo principio di garanzia vale soltanto fino al verdetto finale. Tale verdetto di colpevolezza del suo mandante è stato emesso e confermato. Quindi la prego di non diffondere falsi dubbi sulla condanna a morta di Don Diana. Chi ha ucciso Don Peppe Diana è uno dei clan più potenti e feroci d'Italia che ha ancora due latitanti, Iovine e Zagaria, liberi di investire, costruire, e portare avanti i loro affari. Oggi, Onorevole Pecorella, lei è presidente della commissione d'inchiesta sui rifiuti, e i Casalesi, come saprà, sono i maggiori affaristi di rifiuti tossici e legali. Loro quindi dovrebbero essere i suoi maggiori nemici anche se in passato ha difeso in sedi processuali i loro capi. La prego di avere rispetto per Don Peppe e non dare nuovamente credito a calunnie che negli anni passati killer e mandanti hanno cercato di riversare su una loro vittima innocente. Questa mia domanda non è una questione di destra o di sinistra. La legalità è la premessa del dibattito politico, o almeno dovrebbe esserlo. La premessa e non il risultato. Quando iniziai a trascrivere delle parole che Don Peppe aveva detto nel Casertano ho ricevuto lettere commosse da molti lettori conservatori, da cattolici di Comunione e Liberazione sino ai ragazzi della Comunità di Sant'Egidio, dalla comunità ebraica romana e da tante altre. La battaglia alle organizzazioni criminali, l'ho vista fare da persone di ogni estrazione politica e sociale. Ho visto, quando ero bambino, manifestazioni nei paesi assediati dalla camorra in cui sfilavano insieme militanti missini, democristiani, comunisti e repubblicani. L'onestà non ha colore, spesso come non ne ha l'illegalità. Per questo, il mio non è un appello che possa essere ascritto a una parte politica. Non permetterò mai a nessuno, e come dicevo me lo sono giurato, che la memoria di Don Peppe sia oltraggiata da accuse false, demolite dai Tribunali, che ebbero il solo scopo di screditare le sue parole, emettendo nel silenzio il ronzio malefico "quello che dice non è vero". Questo non lo permetterò. Lei mi dirà che questa mia è una battaglia troppo personale. Io le ribaderei che, sì, lo è, è vero. Tutto ciò che riguarda la mia terra, ormai riguarda la mia vita stessa e quindi non può che essere personale. Difendere la memoria di Don Peppe Diana è una questione personale anche per un'altra ragione: è una questione d'onore. Onore è una parola che spesso hanno abusivamente monopolizzato le cosche facendola diventare sinonimo del loro codice mafioso. Ma è il tempo di sottrarla alle loro grammatiche. Onore è il sentire violata la propria dignità umana dinanzi a un'ingiustizia grave, è il seguire dei comportamenti indipendentemente dai vantaggi e dagli svantaggi, è agire per difendere ciò che merita di essere difeso. E io l'onore l'ho imparato qui a Sud. Per meglio spiegarmi, mi sovvengono le parole di Faulkner: "Tu non puoi capirlo dovresti esserci nato. In realtà essere del Sud è una cosa complessa. Comporta un'eredità di grandezza e di miseria, di conflitti interiori e di fatalità, è un privilegio e una maledizione. Vi è il senso aristocratico dell'onore e dell'orgoglio". Mi piacerebbe mettere una parola definitiva su questo. Su quanto accaduto a don Peppe. Permettere di farlo riposare in pace. Riposare in pace significa non chiamarlo in causa laddove non può difendersi. A volte, come accade a molti miei compaesani per cui conserva il suo valore, mi viene di rivolgermi a lui. Don Peppe se è vero che tu hai visto la fine della guerra, perché, come dice Platone, solo i morti hanno visto la fine della guerra, sta a noi vivi il compito di continuare a combatterla. E non ci daremo pace."
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